Summary

Although – or because – social work education in Italy has for some 15 years now been exclusively in the domain of the university the relationship between the academic world and that of practice has been highly tenuous. Research is indeed being conducted by universities, but rarely on issues that are of immediate practice relevance. This means that forms of practice develop and become established habitually which are not checked against rigorous standards of research and that the creation of knowledge at academic level pays scant attention to the practice implications of social changes. This situation has been made even worse by the dwindling resources both in social services and at the level of the universities which means that bureaucratic procedures or imports of specialisations from other disciplines frequently dominate the development of practice instead of a theory-based approach to methodology. This development does not do justice to the actual requirements of Italian society faced with ever increasing post-modern complexity which is reflected also in the nature of social problems because it implies a continuation of a faith in modernity with its idea of technical, clear-cut solutions while social relations have decidedly moved beyond that belief. This discrepancy puts even greater strain on the personnel of welfare agencies and does ultimately not satisfy the ever increasing demands for quality and accountability of services on the part of users and the general public. Social workers badly lack fundamental theoretical reference points which could guide them in their difficult work to arrive at autonomous, situation-specific methodological answers not based on procedures but on analytical knowledge.

Thirty years ago, in 1977, a Presidential Decree created the legal basis for the establishment of social service departments at the level of municipalities which created opportunities for the direct involvement of the community in the fight against exclusion. For this potential to be fully utilized it would have required the bringing together of three dimensions, the organizational structure, the opportunities for learning and research in the territory and the contribution by the professional community. As this did not occur social services in Italy still often retain the character of charity which does not concern itself with the actual causes of poverty and exclusion. This in turn affects the relationship with citizens in general who cannot develop trust in those services. Through uncritical processes of interaction Edgar Morin’s dictum manifests itself which is that without resorting to critical reflection on complexity interventions can often have an effect that totally the opposite to the original intention.

An important element in setting up a dynamic interchange between academia and practice is the placement on professional social work courses. Here the looping of theory to practice and back to theory etc. can actually take place under the right organizational and conceptual conditions, more so than in abstract, and for practitioners often useless debates about the theory-practice connection. Furthermore, research projects at the University of Florence Social Work Department for instance aim at fostering theoretical reflection at the level of and with the involvement of municipal social service agencies. With a general constructive disposition towards research and some financial investment students were facilitated to undertake social service practice related research for their degree theses for instance in the city of Pistoia. In this way it was also possible to strengthen the confidence and professional identity of social workers as they became aware of the contribution their own discipline can make to practice-relevant research instead of having to move over to disciplines like psychology for those purposes. Examples of this fruitful collaboration were presented at a conference in Pistoia on 25 June 2007. One example is a thesis entitled ‘The object of social work’ and examines the difficult development of definitions of social work and comes to the conclusion that ‘nothing is more practical than a theory’. Another is on coping abilities as a necessary precondition for the utilization of resources supplied by social services in exceptional circumstances. Others deal with the actual sequence of interventions in crisis situations, and one very interestingly looks at time and how it is being constructed often differently by professionals and clients.

At the same time as this collaboration on research gathers momentum in the Toscana, supervision is also being demanded more forcefully as complementary to research and with the same aim of profiling more strongly the professional identity of social work. Collaboration between university and social service filed is for mutual benefit. At a time when professional practice is under threat of being defined from the outside through bureaucratic prescriptions a sound grounding in theory is a necessary precondition for competent practice.

In Italia il rapporto con l'istituzione universitaria è rimasto per molti anni marginale nella costruzione del sapere del servizio sociale determinando una prevalenza di capacità pratiche e una carenza nell'elaborazione delle conoscenze necessarie al fronteggiamento dei nuovi processi sociali, elemento significativo per il perseguimento della qualità degli interventi nei servizi sociali territoriali.

Pistoia si pone come esempio per l'avvio di questo processo circolare che prende inizio dalla restituzione dei contenuti di tesi che hanno studiato alcuni aspetti metodologici e organizzativi del servizio sociale nella realtà cittadina.

Se i servizi sociali soffrono carenza di risorse nei confronti di panorami sociali complessi connotati da tensioni sociali e sofferenze di una fascia sempre più ampia di popolazione, l’Università Italiana non gode di uno stato di salute migliore causato da un’altrettanto cronica scarsezza di risorse e da un mancato ammodernamento del proprio funzionamento che innesta logiche organizzative asfittiche e autoreferenziali.

Non è interessante, in questa sede, un confronto su quale sia il contesto che mette più in difficoltà le persone che vi hanno a che fare. Certamente i servizi sono sottoposti a un tipo di stress di difficile soluzione mentre l’organizzazione universitaria riesce meglio in una strategia difensiva. Ritengo però che in una situazione di crisi, di sofferenza istituzionale, fare rete possa aiutare almeno a condividere l’analisi e forse anche qualche strategia di azione.

Infatti la prolungata marginalità accademica del servizio sociale unitamente a una struttura fortemente burocratica dei servizi hanno prodotto un’operatività con scarso rapporto tra azione professionale e ricerca. L’obiettivo di una produzione di conoscenze caratterizzanti il servizio sociale, significative per lo studio di una metodologia professionale competente che, nel rispetto dell’etica professionale, fosse capace di definire l’azione professionale in relazione con scenari sociali complessi e in forte trasformazione, è venuto meno, così come preannunciato da Trevisan (Trevisan 1963) almeno quaranta anni fà. Il mancato rapporto con il sistema deputato allo studio e alla ricerca ha provocato un vuoto di conoscenza che ha costretto gli assistenti sociali e le organizzazioni a “rifugiarsi” in una logica burocratica e spesso autoreferenziale per fronteggiare le domande sempre più importanti e complesse che la società rivolge ai servizi.

Nel campo di azione dei servizi si fronteggiano due logiche: la prima collegata al processo di delega agli specialisti e ai servizi organizzati, correlato a quello di progressiva specializzazione, delle competenze socio-assistenziali tipica della società post–moderna. Quest’ultima contraddistinta da appartenenze fluide e identità fragili generanti insicurezza e vulnerabilità sociale, che causa una sempre maggiore richiesta qualitativa e quantitativa rivolta ai servizi sociali, non differentemente dai servizi sanitari; la seconda, quella delle risposte, rimaste ancorate a una visione dei processi sociali tipica di società definite dai sociologi “moderne”, ossia con processi sociali stabili e con identità fortemente strutturate che solo in pochi casi davano luogo a ricorsi a esperti esterni alla propria rete sociale. In questa posizione particolarmente scomoda troviamo i servizi e gli operatori, per non parlare dei cittadini.

Gli assistenti sociali, in conseguenza della già accennata carenza nel processo di costruzione delle conoscenze, hanno lavorato ma non hanno potuto studiare il “campo” dentro il quale si costruiscono le loro pratiche professionali pagando il grave scotto di perdita di significato sociale della loro azione quotidiana che emerge attraverso gli stereotipi negativi che circondano la figura dell’assistente sociale. Secondo Bourdieu (Bourdieu 2002; Emirbayer and Williams 2005; Fram 2004), nell’atto di erogazione di un contributo per minimo vitale o di un intervento di assistenza domiciliare piuttosto che nel corso di un’indagine per trascuratezza genitoriale si costituisce un campo di forze che definiscono i profitti di ciascun attore, economici e simbolici. Per il servizio sociale italiano questo fenomeno risulta “opaco” nel senso che rimane a livello intuitivo della singola sensibilità professionale, ma lo studio non è stato sistematizzato nel corso di questo trentennio. Sono infatti trascorsi trenta anni dal Decreto Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, titolo III, che attribuiva ai comuni le competenze in materia di beneficenza e assistenza, legge che possiamo individuare come momento della nascita del servizio sociale quale attore sulla scena sociale locale, come co-costruttore di processi di identità e sociali di inclusione o esclusione. Da allora le competenze attribuite al servizio sociale sono state molteplici ma si sono innestate su una rappresentazione priva di un’idea prospettica della relazione che si è andata instaurando tra le diverse parti del sistema stesso: agenzia formativa, organizzazione dei servizi, comunità professionale. Per dirla in altri termini siamo rimasti impigliati in una visione di beneficenza e di assistenza senza studiare lo sfondo all’interno del quale i processi di vulnerabilità si andavano realizzando e che costituiscono almeno in grande parte l’oggetto della professione.

L’esiguità delle risorse economiche e la prepotenza con cui si manifestano certi fenomeni di marginalità sociale stanno bussando alla porta dei servizi e della professione, chiedendo uno sforzo conoscitivo e creativo capace di dare consistenza e competenza al tessuto sociale e alle relazioni che lo compongono.

La dinamicità e la fluidità del contesto sociale difficilmente si possono connettere alla burocrazia, ai lunghi tempi di attesa caratterizzanti l’organizzazione dei servizi. Lo scarto temporale tra l’immediatezza della richiesta e il tempo lungo necessario allo svolgimento delle procedure, la diversa definizione del problema contribuiscono significativamente alla perdita di significato attribuito al rapporto tra servizi e cittadino congiuntamente al dispendio di risorse umane e relazionali quali quelle messe a disposizione dagli assistenti sociali e certamente dei cittadini. Edgard Morin (1993) nella sua “Introduzione al pensiero complesso” esamina come l’azione sfugga all’intenzione dell’individuo che la mette in atto perché entra in un universo di interazioni e alla fine è l’ambiente circostante a impadronirsene in un senso che può diventare contrario all’intenzione iniziale. Gli assistenti sociali conoscono bene questo meccanismo quando avviano un contributo a minimo vitale che molto spesso risulta essere l’inizio di una carriera di lunga assistenza. Non è infatti possibile interagire con situazioni complesse secondo una logica lineare senza avere indietro effetti perversi.

Un’altra considerazione sempre riferita al rapporto tra mondo universitario e mondo professionale pone al centro il tirocinio che, come afferma Gui (2005), costituisce la zona di intreccio tra questi due mondi che sviluppano la loro influenza e azione nel sistema dei servizi. Questa interessante osservazione necessita di approfondimenti per l’individuazione di un metodo che si presti più di altri a favorire lo sviluppo del percorso individuato. È ormai maturo il momento nel quale questo tanto invocato rapporto tra università, servizio sociale professionale e sistema organizzato dei servizi può implementare le relazioni con contenuti riconoscibili e significativi per la professione. Il cosiddetto processo di teoria – pratica – teoria può uscire dalla generalizzazione da cui è stato affetto fino ad oggi per l’impossibilità di avviare ricerche che restituissero agli assistenti sociali il significato sociale della loro attività professionale al di là del senso attribuito individualmente.

A questo proposito mi pare importante presentare i risultati di una piccola ricerca svolta appunto per una tesi e di un laboratorio d’ingresso che viene organizzato per gli studenti del primo anno del corso di laurea in servizio sociale presso l’Università degli Studi di Firenze riguardante le motivazioni al lavoro sociale e l’importanza della formazione per il curriculum professionale. Ebbene non solo gli studenti del primo anno attribuiscono maggior importanza alla propria disposizione nei confronti degli “altri” sofferenti e umili, rispetto allo studio ma anche gli assistenti sociali in servizio da più di cinque anni definiscono più importante l’apprendimento delle pratiche piuttosto che dalle pratiche, mostrando di percepire la professione prevalentemente come un mestiere, dove l’elemento essenziale si concretizza nell’addestramento a pratiche ormai definitivamente prodotte, piuttosto che nella ricerca di pratiche contestualizzate (tesi Simona Romoli “Motivazione al lavoro sociale: una ricerca tra studenti e assistenti sociali nell’ottica dell’Ombra secondo C. G. Jung –Università degli Studi di Firenze Corso di laurea in servizio sociale Gennaio 2003).

Il tirocinio curriculare e post-laurea e di conseguenza l’elaborazione di tesi, oltre a svolgere la funzione di apprendimento costituiscono buoni strumenti, quando concordati e programmati, per studiare l’organizzazione dei servizi e le pratiche professionali allo scopo di produrre e sperimentare metodologie innovative e attraenti per il servizio sociale professionale e per i servizi di assistenza sociale capaci di contrastare la perdita di significato di questi importanti attori sociali. Per chiarire l’importanza dei succitati attori è sufficiente sottolineare, da una parte, la cospicuità dell’investimento economico dei comuni e, dall’altra, i momenti basilari nella vita dei cittadini degli interventi del servizio sociale.

Si tratta di tenere insieme sistemi – Università e Servizi - che parlano linguaggi e hanno obiettivi anche molto diversi che in questo nostro caso risultano essenziali per darsi forza reciprocamente. Senza un costante rapporto con i servizi territoriali e il servizio sociale professionale la formazione non avrebbe niente da proporre nelle discipline di servizio sociale. Mentre il servizio sociale rischia costantemente di essere definito per differenza, di default. In questa logica la caratteristica del servizio sociale sembra residuale e viene configurata come motivazione personale, individuando l’attribuzione di senso personale alla professione come elemento costitutivo e dimenticando il portato sociale e conoscitivo della professione stessa.

A questo proposito fare chiarezza diventa un punto di partenza: il servizio sociale è certamente debitore verso discipline sociali e psicologiche, ma con queste non può essere confuso. Gli assistenti sociali fanno spesso esperienza di essere assimilato a un quasi psicologo ovvero a un quasi sociologo! Una professione può esser riconosciuta solo attraverso l’oggetto della propria attività, afferma Hughes (1981), piuttosto che dalle motivazioni a svolgerla. Di quale possa essere definito l’oggetto del lavoro di servizio sociale si occupa una tesi della Facoltà di Scienze Politiche presentata da Laura Contini dal titolo “L’oggetto del servizio sociale” che esamina il difficile percorso della definizione dell’oggetto del servizio sociale attraverso l’analisi di molti testi di servizio sociale che possiamo riassumere con la frase “nulla è più pratico di una teoria”.

Un’opportunità di ricomposizione della distanza tra Università e servizi è rappresentata dalla stesura di tesi, da parte degli studenti del corso di laurea triennale e ancora di più della magistrale, finalizzate allo studio dei servizi e delle pratiche del servizio sociale attraverso ricerche anche di breve raggio o cosiddette di contesto. A grandi linee le tesi si articolano in due parti: una teorica per la definizione, alla luce degli autori più importanti, dei concetti che si intende affrontare e una parte di ricerca che consente di studiare il contesto organizzativo e le pratiche in situazione degli assistenti sociali.

Questa strutturazione consente di mettere a fuoco teorie e concetti significativi per la pratica professionale ma che spesso rimangono impliciti nella costruzione delle rappresentazioni delle situazioni afferenti al servizio sociale. L’interesse che questo tipo di ricerca riveste è relativo allo studio della realtà quotidiana dell’assistente sociale che si sente partecipe e interessata allo svolgimento della ricerca e ai risultati dell’analisi svolte.

Gli esempi seguenti dimostrano i possibili vantaggi di questo metodo e approccio.

Il primo è quello della tesi di Silvia Potenti: Capacità di coping: analisi di storie di vita che si presenta particolarmente interessante per l’applicazione di un concetto poco applicato ai casi del servizio sociale in Italia quale quello di coping. Lo spunto iniziale è nato dal testo di Antonella Meo (2000) “Vite in bilico” che la candidata ha sviluppato applicandolo alle situazioni che ha incontrato nel corso del tirocinio, cercando di diagnosticare la tipologia di fronteggiamento, secondo la classificazione che Lazarus e Folkman (1984) hanno messo a punto all’inizio degli anni ’90. Il tema appare molto importante per il servizio sociale in quanto le capacità di fronteggiamento di eventi spiazzanti fanno spesso la differenza in situazioni di vulnerabilità sociale o di marginalità. Tutti noi abbiamo in mente situazioni di tale povertà relazionale e psicologica oltre che economica e sociale per le quali qualsiasi tipo di intervento risulta insufficiente. La ricerca effettuata si sostanzia nello studio di cartelle sociali attraverso la costruzione di un biogramma recuperando le notizie presenti in cartella, analisi delle traiettorie di vita del soggetto, individuazione di eventi spiazzanti e modalità di fronteggiamento.

Un esempio con definizione degli obiettivi leggermente diverso è costituito da due tesi che prendono in considerazione direttamente l’agire professionale dell’assistente sociale. In questo ambito i temi si sono molto differenziati rimanendo però collegati al metodo utilizzato e alle pratiche in situazione, in una prospettiva tipica del lessico di servizio sociale. Per queste tesi sono state utilizzate interviste semistrutturate ad assistenti sociali allo scopo di rilevarne convincimenti e rappresentazioni e un secondo strumento consistente nell’osservazione con griglie organizzate.

Beatrice Casavecchia (“Urgenza ed emergenza nel servizio sociale”) si occupa dei due concetti ricercandone il significato attribuito sia in letteratura sia nei servizi. La tesi si fa apprezzare non solo per l’interesse del contenuto ma anche per la ricchezza delle prospettive che la candidata è riuscita a dare al tema. In particolare Beatrice ci mostra le innumerevoli vie di lettura di affermazioni e logiche che molto spesso dimentichiamo nel nostro agire quotidiano e che “riducono” il significato stesso della professione. L’ambiguità e la contraddittorietà, di cui facciamo esperienza quotidiana, categorie logiche spesso ritenute antagoniste di una corretta e coerente azione, costituiscono la ricchezza dei contenuti messa in risalto dall’analisi svolta.

Valentina Raimondo presenta una tesi intitolata “L’impero del tempo” sulle modalità di uso nel contesto sociale e segnatamente nell’organizzazione dei servizi. La percezione del tempo si presenta come una costruzione sociale con notevoli differenze sociali e individuali. Interessante l’esplorazione della tematica tempo nelle società complesse dove ciascuno di noi è chiamato ad appartenenze diverse e a una contemporaneità di azioni. Il tema si presenta delicato per le intuibili implicazioni connesse relative alle modalità di svolgimento dell’attività professionale, ma la tesi tratta il “corpus empirico” derivante da osservazioni e interviste, mettendo in evidenza i “ladri di tempo” che si nascondono nelle interruzioni, nelle telefonate e anche nelle colleghe. Certamente ciascuno gestisce il proprio tempo secondo caratteristiche personali ma l’organizzazione e il contesto possono molto nel rendere, qualche volta anche con semplici accorgimenti, il tempo efficace.

Proprio sulle buone pratiche, sul senso del lavoro sociale e sulla costruzione di una professione, o meglio come dicono oltre alpe d’un métier si interrogano i francesi Dartiguenave e Garnier (2003): “Esiste un reale problema di definizione del sociale e dell’intervento sociale. Certamente molti discorsi si adoperano per cercare qualche chiarimento ma generalmente essi fanno il punto di una ricerca approfondita sull’uomo e le sue capacità, le sue incapacità o le difficoltà relazionali a vivere la sua socialità e a produrre la propria storia. Così accade che discorsi nostalgici convochino il passato umanista e vocazionale del lavoro sociale come, su un versante completamente differente, molte rappresentazioni manageriali alla ricerca a priori della razionalità strumentale. Occorre invece ridefinire il sociale nel metodo sperimentale per estrarre le direzioni essenziali per il lavoro sociale. In altri termini, tutte le considerazioni che non partono dall’esperienza quotidiana e che, dopo la teorizzazione, non si confrontano in un ritorno all’esperienza quotidiana, si ritroveranno nel mito.”

Recentemente, almeno in Toscana, si assiste a un aumento della domanda di supervisione professionale da parte degli assistenti sociali che le organizzazioni tendono a soddisfare. Nella mia esperienza questo bisogno sembra corrispondere a un’improrogabilità di costruzione di conoscenze specifiche di servizio sociale, strettamente collegata all’operatività e contemporaneamente al tema dell’identità professionale che la supervisione può soddisfare solo in parte. È possibile affermare che la supervisione professionale si focalizza prevalentemente sulle pratiche quotidiane dal punto di vista dell’assistente sociale, non potendo, per la sua stessa strutturazione pensare a un’azione di sistema e a una riflessione delle pratiche organizzative nel suo insieme pur riconoscendo l’inestricabile intreccio tra azione professionale e sistema organizzativo.

Supervisione e ricerca di servizio sociale costituiscono elementi complementari di una strategia di funzionamento del sistema organizzato dei servizi. Gli assistenti sociali hanno molte conoscenze ma queste rimangono patrimonio individuale e possono pervenire alla dignità di categorie conoscitive attraverso la legittimazione della pratica della ricerca.

Tra le tante strategie necessarie per una qualificazione dei servizi territoriali quest’ultima si mostra, secondo me, come una delle più radicali, potendo contare sullo sviluppo continuo di conoscenze di contesto da fornire all’organizzazione, a coloro che ricoprono funzioni decisionali e capace di avviare processi riflessivi della pratica professionale e metodologica.

A questo punto appare evidente come l’Università diventi uno dei molteplici interlocutori dell’organizzazione dei servizi e del servizio sociale professionale in considerazione delle competenze di ricerca e di formazione che si trovano all’interno.

La condivisione di una costellazione di rappresentazioni e conoscenze, di comune derivazione, tra professionisti e organizzazione potrebbe alimentare un processo di reciproca interazione definendo funzioni e punti di vista diversi. Attualmente l’organizzazione viene percepita dal singolo professionista come un contesto necessario ma fortemente limitante la propria attività per una difficoltà comunicativa e per una pervasiva logica burocratica. Per gli assistenti sociali questa tendenza si è andata sempre più estremizzando non riuscendo, gli stessi, a porre un confine a causa di un deficit conoscitivo, metodologico e un conseguente riconoscimento dell’identità professionale.

References

Bourdieu, P. 2002: Campo del potere e campo intellettuale. Roma: Manifestolibri.

Dartiguenave, J, Y. and Garnier, J. F 2003: L’homme oublié du travail social. Ramonville Sainte Agne: Éres.

Emirbayer, M. and Williams, E. M. 2005: Bourdieu and social work, in: Social Service Review, 4, pp. 689-724.

Fram, M. S. 2004: Research for Progressive Change: Bourdieu and Social Work, in: Social Service Review, 4, pp. 553-576.

Gui, L. 2005: Le sfide teoriche del servizio sociale. Roma: Carocci Faber.

Hughes, E. C. 1981: Men and their work. Westport: Greenwood Press.

Lazarus, R. S. and Folkman, S. 1984: Stress, Appraisal and Coping. New York: Springer.

Meo, A. 2000: Vite in bilico. Sociologia della reazione ad eventi spiazzanti. Napoli: Liguori.

Morin, E. 1993: Introduction à la pensée complexe. Milan: Sperling & Kupfer.

Trevisan, C. 1963: Ricerca e servizio sociale, in: Rassegna di servizio sociale, 1.

Author´s Address:
Dr Laura Bini
Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Scienze Politiche
Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia
Via delle Pandette, 32
I-50127 Firenze (FI)
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